Ultimo aggiornamento: 13/07/2004

 
Sezione curata da Maria Giovanna Melis
Edgar Morin, “La testa ben fatta – riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero”, Raffaello Cortina Editore 2000

Dal Prologo:
<<Mi piacerebbe davvero proseguire la mia educazione puramente umana, ma il sapere non ci rende né migliori né più felici. Ah, se fossimo capaci di capire la coerenza di tutte le cose! Ma l’inizio e la fine di tutte le scienze non sono forse avvolti di oscurità?>> KLEIST, Lettera a un’amica
Scrive Morin:
“Il mio cammino degli ultimi dieci anni mi conduceva verso questo libro. Sempre più convinto della necessità di una riforma di pensiero, quindi di una riforma dell’insegnamento (…). Questo libro è (…) dedicato all’educazione e all’insegnamento. Questi due termini coincidono e nello stesso tempo si differenziano.
L’”educazione” è una parola forte:”Messa in opera dei mezzi atti ad assicurare la formazione e lo sviluppo di un essere umano; questi mezzi stessi” (Le Robert). Il termine “formazione” (…) ha il difetto di ignorare che la missione della didattica è di incoraggiare l’autodidattica, destando, suscitando, favorendo l’autonomia dello spirito. L’ “insegnamento”, arte o azione di trasmettere conoscenze a un allievo in modo che egli le comprenda e le assimili, ha un senso più restrittivo perché solamente cognitivo.
A dire il vero la parola “insegnamento” non mi basta, ma la parola “educazione” comporta un troppo e una mancanza. In questo libro farò lo slalom fra i due termini, avendo in mente un insegnamento educativo”.
“C’è una inadeguatezza sempre più ampia, profonda e grave tra i nostri saperi disgiunti (…), suddivisi in discipline da una parte, e realtà o problemi sempre più polidisciplinari, trasversali, (…), globali, planetari dall’altra” (p. 5)
[…] “Nello stesso tempo, la separazione delle discipline rende incapaci di cogliere ciò che è tessuto insieme, cioè, secondo il significato originario del termine, il complesso”. […] "C'è complessità quando sono inseparabili le differenti componenti che costituiscono un tutto [...] e quando c'è un tessuto interdipendente, interattivo e inter-retroattivo fra le parti e il tutto e fra il tutto e le parti" (p. 6).
Secondo Morin, l’ insegnamento/ educazione si trova di fronte a delle “sfide”:

1. La sfida culturale: “La cultura, ormai, non solo è frammentata in parti staccate, ma anche spezzata in due blocchi”. Da una parte la cultura umanistica “che affronta la riflessione sui fondamentali problemi umani, stimola la riflessione sul sapere e favorisce l’integrazione personale delle conoscenze”, dall’altra, la cultura scientifica che “che separa i campi della conoscenza, suscita straordinarie scoperte, geniali teorie, ma non una riflessione sul destino umano e sul divenire della scienza stessa” (p. 10).
2. La sfida sociologica: “l’informazione è una materia prima che la conoscenza deve padroneggiare e integrare” ; “la conoscenza deve essere costantemente rivisitata e riveduta dal pensiero”; “il pensiero è oggi più che mai il capitale più prezioso per l’individuo e la società” (p.11)
3. La sfida civica:
“L’indebolimento di una percezione globale conduce all’indebolimento del senso della responsabilità, poiché ciascuno tende a essere responsabile solo del proprio compito specializzato, così come all’indebolimento della solidarietà, poiché ciascuno percepisce solo il legame con la propria città (…)”. “Inoltre la conoscenza tecnica è riservata agli esperti” […]. “Mentre l’esperto perde la capacità di concepire il globale e il fondamentale, il cittadino perde il diritto alla conoscenza. Quindi lo spossamento del sapere, molto poco equilibrato dalla volgarizzazione mediatica, pone il problema storico ormai capitale della necessità di una democrazia cognitiva” (p.12).
Secondo Morin è necessario raccogliere queste sfide attraverso la riforma dell’insegnamento e la riforma del pensiero: “E’ la riforma di pensiero che consentirebbe il pieno impiego dell’intelligenza per rispondere a queste sfide e che permetterebbe il legame delle due culture disgiunte. Si tratta di una riforma non programmatica ma paradigmatica, poichè concerne la nostra attitudine a organizzare la conoscenza”. E’ questa la <<sfida delle sfide>>: “La riforma dell’insegnamento deve condurre alla riforma di pensiero e la riforma di pensiero deve condurre a quella dell’insegnamento” (p. 13).
Nel secondo capitolo, “La testa ben fatta”, Morin richiama una frase di Montaigne: <<E’ meglio una testa ben fatta che una testa ben piena>> e distingue tra “una testa nel quale il sapere è accumulato (…) e non dispone di un principio di selezione e di organizzazione che gli dia senso” e una <<testa ben fatta>>, che comporta “un’attitudine generale a porre e a trattare i problemi; principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro senso”. (p.15). “Si deve dunque imperativamente ripristinare la finalità della testa ben fatta”, che, “mettendo fine alla separazione tra le due culture, consentirebbe di rispondere alle formidabili sfide della globalità e della complessità nella vita quotidiana, sociale, politica, nazionale e mondiale” (p. 29).
Nel capitolo ottavo, “La riforma del pensiero”, Morin riflette sulla necessità “di un pensiero (…) che distingue e unisce; (…) un pensiero del complesso nel senso originario del termine complexus: ciò che è tenuto insieme” (p. 91).
Il “pensiero che collega e che affronta l’incertezza”,cioè “il pensiero interconnesso” viene presentato secondo sette principi guida:
1- Il principio sistemico od organizzazionale, che lega la conoscenza delle parti alla conoscenza del tutto;
2- Il principio “ologrammatico”, ispirato all’ologramma, ogni punto del quale contiene la quasi totalità dell’informazione dell’oggetto che rappresenta;
3- Il principio dell’anello retroattivo, che permette la conoscenza dei processi auto-regolatori;
4- Il principio dell’anello ricorsivo, supera la nozione di regolazione con quelle di auto-produzione e auto-organizzazione;
5- Il principio d’autonomia/dipendenza (auto-eco-organizzazione): gli esseri viventi sono esseri auto-organizzatori che si producono incessantemente, e con ciò consumano energia per mantenere la loro autonomia.
6- Il principio dialogico: unisce due principi o nozioni che potrebbero escludersi a vicenda, ma che sono indissociabili in una stessa realtà.
7- Il principio della reintegrazione del soggetto conoscente in ogni processo di conoscenza che opera la restaurazione del soggetto e svela il problema cognitivo centrale.

Questa riforma del pensiero teorizzata da Morin “avrebbe conseguenze esistenziali, etiche e civiche” perché “un pensiero capace di non rinchiudersi nel locale e nel particolare, (…) capace di concepire gli insiemi, sarebbe adatto a favorire il senso della responsabilità e il senso della cittadinanza” (p. 101).
Nel capitolo nono (p.103), Morin parla di insegnamento che “deve ridiventare non più solamente una funzione, una specializzazione, una professione, ma un compito di salute pubblica: una missione. Una missione di trasmissione”. […] “Essa richiede ciò che nessun manuale spiega, ma che Platone aveva già indicato come condizione indispensabile di ogni insegnamento: l’eros, che è allo stesso tempo desiderio, piacere e amore, desiderio e piacere di trasmettere amore per la conoscenza e amore per gli allievi” (p. 106).
A p. 107, Morin delinea i tratti essenziali della missione di insegnante:
• “ fornire una cultura che permetta di distinguere, contestualizzare, globalizzare, affrontare i problemi multidimensionali, globali e fondamentali.
• Preparare le menti a rispondere alle sfide che pone alla conoscenza umana la crescente complessità dei problemi.
• Preparare le menti ad affrontare le incertezze (…), favorendo l’intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore.
• Educare alla comprensione umana fra vicini e lontani.
• Insegnare l’affiliazione
• Insegnare la cittadinanza terrestre, insegnando l’umanità nella sua unità (…), nella quale gli esseri umani sono posti a confronto con gli stessi problemi vitali e mortali”.
Per Morin, la “riforma di pensiero è una necessità democratica chiave” che permette di “formare cittadini capaci di affrontare i problemi del loro tempo; frenare il deperimento democratico, che è suscitato in tutti i campi della politica dall’espansione dell’autorità degli esperti, degli specialisti di tutti i tipi, che limita progressivamente la competenza dei cittadini”; i quali ”sono condannati all’accettazione ignorante delle decisioni di coloro che si ritiene che sappiano, ma la cui intelligenza è miope, perché parcellizzata e astratta”.
 

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