Ultimo aggiornamento: 03/07/2006

 
     

David Foster Wallace, “TUTTO, E DI PIÙ – Storia compatta dell’”, Titolo originale “Everything and More. A Compact History of ”, Traduzione di Giuseppe Strazzeri e Fabio Paracchini, 2005 Codice edizioni, Torino (Pagine: 262)

Il romanziere David Foster Wallace si assume la responsabilità di indossare i panni del matematico, per presentare una serie di scoperte matematiche astratte e tecniche, ma anche profonde, belle e interessanti; l’obiettivo è quello di parlare di tali scoperte in modo da farle risultare vivide e comprensibili per un lettore privo di una formazione tecnica e di una cultura scientifica specialistica.

L’autore afferma di nutrire un interesse amatoriale di livello medio-alto per la matematica e per i sistemi formali e dichiara che tutto quanto vi è di buono in questo libro è “una pallida e benintenzionata imitazione” di un corso, da lui seguito, estraneo al suo curriculum universitario, tenuto “da uno di quei rari specialisti che sanno dare vita e necessità ai concetti astratti”.

L’autore usa particolari abbreviazioni e ne presenta un elenco nella Breve ma necessaria premessa; ad esempio la sigla NCVI è l’acronimo di Nel Caso Vi Interessi e viene utilizzata per indicare quei materiali che, a scelta del lettore, possono essere letti con attenzione, oppure “saltati a piè pari senza grave danno”. Determinati brani facoltativi “sono digressioni o elementi di carattere storico; altri sono definizioni e spiegazioni con le quali non è necessario che il lettore con una buona conoscenza matematica perda tempo.” La maggior parte dei NCVI sono, però, pensati per quei lettori che hanno “una solida formazione tecnica, un inusuale interesse per la vera matematica, una pazienza sovrannaturale o tutte e tre le cose insieme; questi brani offrono una visione più particolareggiata di elementi che la discussione principale si limita a sfiorare.” 

Il progetto generale di questo libro è quello di comprendere i risultati di Cantor e, per l’autore, ciò implica la visualizzazione della matematica transfinita come “una sorta di albero, un albero con le radici negli antichi paradossi greci della continuità e dell’incommensurabilità e i rami intrecciati nelle crisi moderne delle fondamenta della matematica da Brouwer a Hilbert a Russell a Frege a Zermelo a Gödel a Cohen eccetera.”

Condivido quanto espresso dall’autore a proposito di Cantor: anche se i pregiudizi e le idiosincrasie degli scrittori/cinematografari (pregiudizi che dipendono dal modello del Matematico Malato di Mente, modello archetipico della nostra era) conducono a presentare Cantor come il Genio reso folle dal tentativo di comprendere l’infinito, la verità è che il lavoro di Cantor è tanto interessante e meraviglioso che non vi è alcun bisogno di prometeizzare a ogni costo la vita di questo grande matematico. Come sottolinea David Foster Wallace, la vera ironia sta nel fatto che il lavoro di Cantor ha sovvertito proprio l’idea dell’infinito come zona proibita o come strada verso la follia (un’idea antichissima e resistente che ha perseguitato la matematica per più di 2000 anni). Affermare che l’infinito ha fatto impazzire Cantor è un po’ come piangere la sconfitta di San Giorgio nella lotta contro il drago: non è soltanto un errore di valutazione, ma è anche un insulto.