David
Foster Wallace, “TUTTO, E DI PIÙ – Storia compatta
dell’ ”,
Titolo originale “Everything and More. A Compact History of
”,
Traduzione di Giuseppe Strazzeri e Fabio Paracchini, 2005 Codice edizioni,
Torino (Pagine: 262)
Il romanziere David Foster
Wallace si assume la responsabilità di indossare i panni del matematico,
per presentare una serie di scoperte matematiche astratte e tecniche, ma
anche profonde, belle e interessanti; l’obiettivo è quello di parlare
di tali scoperte in modo da farle risultare vivide e comprensibili per un
lettore privo di una formazione tecnica e di una cultura scientifica
specialistica.
L’autore afferma di nutrire
un interesse amatoriale di livello medio-alto per la matematica e per i
sistemi formali e dichiara che tutto quanto vi è di buono in questo libro
è “una pallida e benintenzionata imitazione” di un corso, da lui
seguito, estraneo al suo curriculum universitario, tenuto “da uno di
quei rari specialisti che sanno dare vita e necessità ai concetti
astratti”.
L’autore usa particolari abbreviazioni e ne presenta un elenco nella Breve
ma necessaria premessa; ad esempio la sigla NCVI è l’acronimo di Nel
Caso Vi Interessi e viene utilizzata per indicare quei materiali che,
a scelta del lettore, possono essere letti con attenzione, oppure
“saltati a piè pari senza grave danno”. Determinati brani facoltativi
“sono digressioni o elementi di carattere storico; altri sono
definizioni e spiegazioni con le quali non è necessario che il lettore
con una buona conoscenza matematica perda tempo.” La maggior parte dei
NCVI sono, però, pensati per quei lettori che hanno “una solida
formazione tecnica, un inusuale interesse per la vera matematica, una
pazienza sovrannaturale o tutte e tre le cose insieme; questi brani
offrono una visione più particolareggiata di elementi che la discussione
principale si limita a sfiorare.”
Il progetto generale di questo
libro è quello di comprendere i risultati di Cantor e, per l’autore, ciò
implica la visualizzazione della matematica transfinita come “una sorta
di albero, un albero con le radici negli antichi paradossi greci della
continuità e dell’incommensurabilità e i rami intrecciati nelle crisi
moderne delle fondamenta della matematica da Brouwer a Hilbert a Russell a
Frege a Zermelo a Gödel a Cohen eccetera.”
Condivido quanto espresso
dall’autore a proposito di Cantor: anche se i pregiudizi e le
idiosincrasie degli scrittori/cinematografari (pregiudizi che dipendono
dal modello del Matematico Malato di Mente, modello archetipico della
nostra era) conducono a presentare Cantor come il Genio reso folle dal
tentativo di comprendere l’infinito, la verità è che il lavoro di
Cantor è tanto interessante e meraviglioso che non vi è alcun bisogno di
prometeizzare a ogni costo la vita di questo grande matematico. Come
sottolinea David Foster Wallace, la vera ironia sta nel fatto che il
lavoro di Cantor ha sovvertito proprio l’idea dell’infinito come zona
proibita o come strada verso la follia (un’idea antichissima e
resistente che ha perseguitato la matematica per più di 2000 anni).
Affermare che l’infinito ha fatto impazzire Cantor è un po’ come
piangere la sconfitta di San Giorgio nella lotta contro il drago: non è
soltanto un errore di valutazione, ma è anche un insulto.
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