TEORIA UNIFICATA DELL'APPRENDIMENTO
Intervista a Seymour Papert
a cura di Enrico Pasini and Filippo Viola


Quando Seymour Papert, giovane matematico sudafricano ostile all'apartheid, volle recarsi a lavorare con Marvin Minsky (padre dell'intelligenza artificiale), ebbe difficoltà a ottenere il visto d'ingresso negli Stati Uniti. Trascorse allora alcuni anni in Europa, studiando a Ginevra e a Parigi. In particolare lavorò a lungo presso l'istituto di epistemologia genetica di Piaget a Ginevra e quando nel 1964 poté entrare al Massachusetts Institute of Technology, era fortemente influenzato dalle teorie piagettiane sull'apprendimento. Il contatto Papert-Piaget ha reso possibile una sorprendente magia: Seymour Papert è colui che ha "piegato" i linguaggi informatici alla costruzione di ambienti in cui i bambini possano esplorare la conoscenza e dirigere i propri apprendimenti, con la stessa sensibilità pedagogica con cui Gianni Rodari ha "piegato" alle esigenze dei bambini i linguaggi delle favole. Lo abbiamo incontrato a Venezia, ai margini di un convegno sulla "vita artificiale", e gli abbiamo chiesto di fare per noi il punto della sua ricerca. Vi presentiamo qui la traduzione dell'intervista, originariamente in inglese .

Responsabile del progetto in cui è nato il linguaggio Logo, il più noto linguaggio di programmazione a fini didattici, Papert ha fondato e dirige il gruppo di lavoro su epistemologia e apprendimento al Media Laboratory del MIT. Il Logo è un linguaggio di programmazione molto versatile ma anche molto accessibile, con cui inizialmente si lavorava in un semplicissimo ambiente grafico: un micromondo in cui si fa muovere una "tartaruga" rappresentata da un triangolino, costruendo con le tracce dei suoi movimenti dei percorsi, dei disegni, che sono peraltro basati su relazioni geometriche la cui conoscenza viene così a sua volta costruita: in questa doppia costruzione, concreta e cognitiva, sta il nucleo teorico del "costruzionismo" di Papert, la sua rivoluzione epistemologica e pedagogica rispetto al costruttivismo cognitivo di Piaget.

Oggi un bambino che usi il Logo può costruire e controllare automi ben più complessi del simpatico animaletto triangolare, tra cui sono famosi soprattutto i Lego-Robot -- sull'uso dei quali al Media Lab esiste appunto il laboratorio Lego-Logo (come dire: le costruzioni e il costruzionismo). Oggi gli ambienti di apprendimento "costruzionisti" su cui lavora il gruppo di Papert al Media Lab sono svariati. Ma c'è senza dubbio una continuità teorica, epistemologica, pedagogica di fondo. Papert ha pubblicato nel 1980 un libro, Mindstorms, popolato da "idee forti", bambini e computer, che diede uno scossone impressionante alla cultura pedagogica e al modo di immaginare le nuove tecnologie per l'istruzione. Ha dato alle stampe lo scorso anno un libro sui bambini, la scuola e i computer, che è insieme un bilancio e un rilancio della sua ricerca pedagogica, e ne ha in preparazione un altro, da cui siamo partiti in questa intervista.

La prima domanda, che chiunque ti rivolgerebbe, è: a che cosa stai lavorando al momento?

Al mio rientro, per i prossimi sei mesi credo che starò in qualche posto tranquillo del Maine e finirò un libro. Avrà più il carattere di un'epistemologia, di una teoria dell'apprendimento, più che di un libro sulla scuola.

Ci puoi fare qualche accenno a ciò che stai scrivendo?

Avete presente The Children's Machine, il mio ultimo libro? Ci sono alcuni abbozzi di queste idee. Il capitolo su "Una parola per l'arte di apprendere" intende evidenziare ciò che ho detto anche qui a Venezia, che in tutta la letteratura sull'apprendimento e l'istruzione l'enfasi è posta su come insegnare. C'è ben poca enfasi riguardo a come imparare. E si è riflettuto ben poco su che tipo di concetti, su quali abilità debbano essere sviluppate se si vuole migliorare la capacità di apprendere, in particolare su quali siano le forme di conoscenza che maggiormente conducono a migliorare tale abilità. Ritengo che nell'insieme il lavoro degli educatori sia stato prendere certi argomenti, ad esempio la storia, e stabilire come presentarli in modo che fossero semplici da insegnare. E questo è molto diverso dal presentarli in modo che siano semplici da apprendere. Ma questo non lo si è davvero fatto molto, almento nell'ambiente dell'istruzione. Questa dunque è la prima intenzione: cercare di presentare dei modi di pensare intorno a varie forme di conoscenza che le rendano più facilmente imparabili.

Intendo considerare diverse figure storiche, varie persone che hanno contribuito allo studio dell'apprendimento: Piaget, Vigotskij, Dewey -- sono molti quelli che hanno scritto su particolari teorie per incoraggiare, per accrescere l'apprendimento. Credo che se si guarda a tutte queste diverse teorie, sembrano opposte l'una all'altra. Ma non è che siano opposte, in realtà considerano aspetti diversi di uno stesso processo. Infatti io penso che si può avere una teoria unificata dell'apprendimento in cui si possano considerare queste persone non in opposizione ma come persone che ne hanno trattato aspetti diversi. E la ragione per cui credo sia possibile fare questo oggi meglio che in passato, è proprio perchè ora ci muoviamo in un contesto informatico, in cui possiamo realizzare davvero un grande cambiamento nel modo in cui la gente impara. In passato gli unici mezzi di comunicazione disponibili erano il discorso interattivo o il testo passivo. Con questi strumenti si possono sviluppare dei modi di trattare la conoscenza, ma fino a che questi sono rimasti gli unici strumenti non era possibile produrre grandi cambiamenti. Così, coloro che elaboravano delle teorie non potevano essere molto audaci, non potevano veramente produrre un cambiamento notevole perchè in effetti non vi era alcun modo pratico di realizzarlo, per avere un qualche impatto si poteva agire solo su aspetti particolari della questione. Penso che ora che disponiamo dei computers e di un diverso accesso alla conoscenza possiamo prevedere dei cambiamenti molto più considerevoli; vi è così maggior spazio per le speculazioni teoriche. Questa è dunque la linea principale, la struttura generale del libro.

Vi si parla ben poco della scuola. C'è invece molto sugli stadi dell'apprendimento nei bambini. Non si tratta di stadi cognitivi, ma di stadi nel rapporto del bambino con il mondo e con la conoscenza del mondo. C'è lo stadio della libera esplorazione nel bambino piccolo... finché si giunge al limite di ciò che può essere appreso attraverso l'esplorazione diretta del mondo circostante. Così, qualunque sia il percorso, si arriva a dipendere dagli altri, si passa ad uno stadio in cui la conoscenza dipende da altre persone, compresa la scuola, la televisione e tutto ciò che gli adulti possono dare. Ma in generale nel passato, fino all'arrivo delle nuove tecnologie, la maggior parte della conoscenza non poteva essere liberamente esplorata dai bambini, e questo è ciò che sta cambiando. Sta per accadere, e quindi dobbiamo riflettere profondamente su come pensare la conoscenza.

Il tuo lavoro con il Logo non ha mai smesso di autosvilupparsi. Dopo il Lego-Logo, in quali nuove direzioni stai lavorando?

Stiamo programmando sistemi di computer per bambini piccoli, ma molto piccoli, dai due ai tre anni. Stiamo per realizzare un sistema di programmazione che permetta ai bambini di quell'età di iniziare a fare delle cose, che si evolvano con continuità in altre cose. Abbiamo sempre avuto uno slogan, riguardo al Logo: che non ci dovessero essere delle soglie, non dovesse avere soffitti. In realtà non lo abbiamo potuto fare veramente, e fino a poco tempo fa ci siamo rivolti a bambini in età scolare, che avessero una qualche guida da parte degli insegnanti. Penso che ora, con nuove idee e soprattutto con computer più potenti, potendo inserire un maggiore supporto nel sistema, sia realmente possibile che un bambino piccolissimo possa iniziare a costruire piccoli micromondi e metterli insieme.

Ieri parlavi di micromondi in forma di gioco.

Si, ad esempio. Non sono sicuro se per bambini di due o tre anni, ma sicuramente di quattro, cinque e sei anni... Vediamo bambini di tre anni usare facilmente programmi di disegno. Dipingono una scena e vi collocano oggetti, ma i programmi più diffusi non permettono una vera animazione dell'oggetto. Potremmo avere un discreto sistema-prototipo funzionante, che consenta di ai bambini di mettere oggetti animati in una scena; ad esempio, tu fai una scena e ci piazzi un cane che corre o un uccello che vola -- questo è facilissimo -- dopodiché puoi stabilirne le interazioni con gli altri oggetti e controllarne i movimenti, e ancora modificarli. E vediamo che costruendo scene animate un bambino può creare una storia. Crediamo che anche un bambino in giovanissima età potrebbe creare storie animate, dove qualcosa accade.

Poi forse una direzione in cui proseguire è di rendere il sistema più interattivo. Ciò si trasforma naturalmente nel gioco, ma non abbiamo giochi nel senso che qualcuno vince e qualcuno perde. Ho realizzato un piccolo sistema per un bambino che fin dai primissimi anni di vita era affascinato dai treni e dalle ferrovie, in modo che potesse mettere i binari sullo schermo, un treno sui binari, e poi una stazione coi segnali... E che potesse anche registrarli, per esempio "Tutti a bordo!" o "Prossima fermata: New York!", in modo da venir pronunciati dalla macchina al momento giusto, con un'icona che collega il messaggio vocale all'evento. Fare questo è ora molto facile, e può accadere anche in età giovanissima: puoi fare una cosa molto interattiva, in cui puoi fermare il treno, puoi immaginarti qualcosa del tipo "mettiamo un'automobile qui davanti al treno, per fare un grande incidente..."

Ciò che stai facendo va piuttosto in direzione di ambienti più interattivi e ludici, che non verso ambienti più esatti e vicini alla realtà.

Penso che l'essenza della vita intellettuale di un bambino stia nell'immaginazione, nell'avventura, nella fantasia. Il bambino si inventa modi di comprendere il mondo, è interessato alle storie, e quando fa un disegno non ci preoccupiamo che il risultato sia realistico. Non giudichi se è bello o no in base alla sua aderenza alla realtà. E a noi piacerebbe fare la stessa cosa nell'esplorazione della costruzione di teorie, che è il primo passo verso la scienza e la matematica. La cosa importante non è la rappresentazione accurata della realtà, ma è fare qualcosa che abbia una coerenza interna, che abbia senso e che mostri la qualità dell'immaginazione. Sembra abbastanza strano, è vero, ma in questo modo il bambino acquisisce il senso di come rapportarsi con la realtà, perchè per far funzionare il sistema deve accettare la sua meta-realtà. Se vuoi che il computer crei il tuo mondo di fantasia, devi accettare la realtà di ciò che il computer può fare. Questo non significa, comunque, che il reale debba trovarsi dentro il mondo della fantasia.

Hai lavorato sull' "interfaccia" tra esplorazione e formalizzazione della conoscenza, quello che tutti facciamo ad un certo momento?

Da un certo punto di vista, tutto ciò che faccio rientra in questo. Nella scuola tradizionale l'organizzazione della conoscenza significa separazione tra conoscenza intuitiva e conoscenza formale. Questo si nota specialmente in certi campi, come la scienza, la matematica, la fisica. Ufficialmente c'è un grande divario tra l'intuizione della gente e la fisica, ciò che la gente studia in fisica a scuola. L'approccio è dire loro: dimenticate la vostra intuizione, usate le formule, l'approccio formale. Ritengo che sia davvero sbagliato. Non credo che funzioni.

Penso che molti che si occupano di filosofia della scienza siano molto interessati a ciò su cui si basa l'intuizione. Come possiamo irrobustire la nostra intuizione? Come si può riordinare la scienza su questa base? Ma nessuno di loro si è mai occupato del modo in cui si insegna, della versione della scienza incorporata nei programmi scolastici standard. L'approccio formale è applicato alla didattica dei college e delle università e, ovviamente, anche la scuola elementare ha adottato un modello molto formalistico della scienza. Penso che non funzioni, gli studenti che hanno successo sono quelli che trovano da soli la propria strada.

Uno dei capitoli di questo nuovo libro dovrebbe riguardare come agire quando la tua intuizione ti dice qualcosa che trovi fuorviante. Cosa fai allora della tua intuizione? La tendenza comune nel mondo formale è dire che l'intuizione induce all'errore, va accantonata e sostituita con una formula. Uno dei nostri dottorandi dello scorso anno si chiama Uri Wilensky, una parte del suo lavoro di tesi studia l'atteggiamento verso l'insegnamento della teoria della probabilità in persone quali fisici, matematici e anche in persone che insegnano probabilità agli psicologi. Ha scelto la teoria della probabilità perchè è diffusa una convinzione molte forte secondo cui l'intuizione della gente per quanto riguarda la probabilità è pessima e non è possibile cambiarla. C'è persino una tendenza in psicologia che sostiene che le nostre intuizioni errate circa la probabilità sono profondamente radicate nella natura del cervello. I risultato è dunque che molti di coloro che insegnano probabilità hanno accettato la tesi che l'intuizione è irrimediabilmente un male, che ciò che occorre fare è imparare ad ignorarla ed usare invece il linguaggio formale. Ora, noi non ci crediamo assolutamente. Wilensky ed io, nell'ultimo paio d'anni, abbiamo cercato di sviluppare una via di mezzo tra un ambiente costruzionista e un'autoriflessione sui nostri pensieri, un tipo di attività in cui aiutiamo gli studenti a sviluppare ed arricchire le loro intuizioni riguardanti la probabilità. E naturalmente loro ci riescono. Non c'è dubbio che si possono sviluppare ottime intuizioni sull'argomento. Penso che per imparare e per fare matematica, la parte più difficile ed essenziale sia lo sviluppo delle proprie intuizioni.


Annotazioni

Micromondi e apprendimento

L'idea più originale sviluppata da Papert è quella di "micromondo". Papert era molto colpito dalla constatazione che, mentre nel periodo prescolare, nel bene e nel male, tutti si perviene ad acquisire le competenze linguistiche (e non solo linguistiche) del proprio contesto culturale di riferimento, in un contesto d'istruzione formale non tutti riescono ad acquistare in eguale misura nuove abilità e competenze. L'idea, insomma, d'ispirazione piagettiana, è che si possa apprendere la matematica (o qualunque altra disciplina) così come si apprendono le lingue o come si costruisce, in modo assolutamente naturale, l'idea di "numero" nelle fasi prescolari: se si apprende il francese vivendo (o simulando di vivere) in Francia, così la matematica si apprende vivendo e giocando in "Matlandia".

Il contributo di Papert non va esattamente nel senso della descolarizzazione, ma riconosce nelle nuove tecnologie uno strumento idoneo a rifondare l'idea stessa di scuola come luogo in cui è tecnicamente possibile realizzare situazioni di apprendimento che riproducono i processi di apprendimento naturale. Perciò assegna un'importanza cruciale ai computer, che permettono di realizzare ambienti liveramente espliorabili in cui l'apprendimento è libero dalle rigide regole imposte dai sistemi scolastici. Scriveva Papert nel 1980:

Scrivere un programma per ottenere musica o un grafico sullo schermo dell'elaboratore, o ancora pilotare una nave spaziale simulata, ha molto in comune con le vere attività degli adulti, anche per quel tipo di adulto che un bambino ambizioso può prendere per eroe o per modello

Papert non si preoccupa solo di prefigurare situazioni favorevoli all'apprendimento da attuare per mezzo di ambienti simulati, ma anche dell'ambiente "sociale" che ospita gli ambienti simulati. Portando ad esempio le scuole di samba brasiliane, in Mindstorms immaginava un ambiente in cui si realizzi quel clima tipico in cui i più piccoli imparano imitando i più grandi o comunque altri più esperti di loro e i più esperti (grandi inclusi) siano alla continua ricerca di performance migliori per se stessi e di un miglioramento nella comunicazione dei modi per fare le cose.

Connected Mathematics

Il progetto "Connected Mathematics" è un tentativo di cambiare secondo l'approccio costruzionista il modo in cui viene considerata la matematica e soprattutto il modo in cui la si insegna. Piuttosto che affrontare la matematica, secondo una tendenza didattica attualmente abbastanza diffusa, come un'attività di problem-solving, l'attività consiste qui nel "costruire" matematica. L'uso delle nuove tecnologie permette di rendere concreti i concetti matematici astratti e di esplorare le aree non conosciute della matematica, accettando la possibilità di una comprensione parziale (quella condizione di incertezza relativa che appartiene anche all'esperto che "esplora" territori nuovi) anche nel sapere matematico.

Il progetto, descritto in vari articoli di Uri Wilenski, si ispira alle teorie di Minsky e Papert nell'idea che non esista qualcosa come un significato univoco attaccato ai concetti, ma che questi acquistino significato solo in una rete di connessioni. Quindi la molteplicità di rappresentazioni deve caratterizzare anche i concetti matematici, di cui si sottolinea la connessione con altri campi del sapere. La matematica va cioè pensata come un modo di conoscere e dare un senso al mondo, che supporta stili di conoscenza diversi e di cui va recuperato anche il carattere negoziale e storico. Vi è anche una componente mutuata dal pensiero femminista, nell'idea che il sapere esista in connessione personale e non in modo puramente astratto, "alienato".

All'interno del progetto "Connected Mathematics" ne esiste uno più ristretto, "Connected Probability", in cui si cerca di realizzare ambienti di apprendimento sulla probabilità che siano insieme computazionali ed esplorativi, e che diano il feedback appropriato alle intuizioni che si intende sviluppare.


Appare nel n. 6 di Nexus (versione a stampa, novembre-dicembre 1994). Nexus / nexus@znort.it è pubblicato dall'associazione nexus.
L'associazione nexus@znort.it gestisce un ramo del sito Web della Znort! di Torino

Modificato il 15 Feb. 1994 -- nexus@znort.it

Nota.
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