BAMBINI E INTERNET
Albanese,
Migliorini, Pietrocola in @psicoterapy
Edizioni Universitarie Romane 2002Internet fa bene o male ai bambini?
La risposta a questa domanda potrebbe sembrare scontata ad un pubblico
alimentato da notizie di cronaca per lo più di tipo negativo mediante le
quali i media hanno fatto conoscere Internet al grande pubblico. Si pensi,
ad esempio, al fenomeno dei siti legati alla pedofilia, piaga antica la cui
esplosione appare come legata ad una sorta di sviluppo e di moltiplicazione
determinata dalla grande rete. Il quesito, invece, pur nella sua ingenuità,
appartiene ad una classe di domande che si ripropongono periodicamente con
le nuove tecnologie. Quesiti analoghi vengono posti per i videogiochi, per
la televisione ma anche per i fumetti, per i libri e si potrebbe porre,
perché no, persino per le penne.
Prima ancora di entrare nella specificità di Internet si possono fare
considerazioni valide per l’intera classe di domande. Queste domande hanno
tutte lo stesso tipo di impostazione e di limitazione: sono tecnocentriche.
Ossia al centro di qualsiasi dilemma e di qualsiasi argomentazione pongono
la struttura tecnologica rispetto alla quale hanno stabilito di discettare,
come se essa potesse essere considerata in maniera avulsa dal tipo e dalla
qualità del contesto nel quale si trova ad essere posta. Rispondere ad una
sorta di test con la sola possibilità di scelta tra le alternativa di
mettere una crocetta in corrispondenza di bene o in corrispondenza di male
sarebbe, così, un grave errore. Questo non solo perché non viene specificata
la dose (quanto Internet, quanta televisione etc.), e in dose eccessiva non
c’è nulla che non diventi un veleno, ma soprattutto perché queste tecnologie
non possono essere considerate medicine miracolose né tantomeno, come
vedremo, babysitter a cui affidare tranquillamente i bambini. Già l’uso di
una strumento semplice come una penna può permettere azioni di segno ben
diverso che vanno dalla scrittura creativa allo scarabocchiare tutto quello
che capita a tiro fino, addirittura, ad essere brandita come corpo
contundente in grado di accecare un compagno di giochi. Uno strumento di per
sé non è né buono né cattivo: tutto dipende dal modo in cui viene utilizzato
e quindi, per quanto riguarda i bambini, è evidente che non si può
prescindere dal contesto educativo. Certo Internet è ben altro che uno
strumento monocorde ma l’esempio della penna può meglio evidenziare
l’insensatezza di certe domande. Le corde di Internet sono innumerevoli: la
loro estensione è, oggi, limitata solo dalla creatività dei suoi utenti e
destinata a moltiplicarsi e a ridefinirsi. E’ uno strumento per leggere, per
scrivere, per far di conto, per vedere, per ascoltare, per giocare, per
comunicare, per comprare, per informare e mille cose ancora. E’ molto di più
di una serie di strumenti, è il mondo riunito in un immensa piazza virtuale
ed è anche quindi, inevitabilmente, un ambiente di apprendimento del bene e
del male.
Le potenzialità educative
Sin dai primi anni di vita il bambino apprende in modo attivo ed autonomo.
E’ un piccolo scienziato che costruisce le proprie piccole teorie ed
escogita esperimenti alla continua ricerca di modi più efficienti per
interpretare l’ambiente in cui è immerso e con cui interagisce. Mosso da una
curiosità insaziabile gioca e, divertendosi, esplora il mondo. Instancabile
costruisce castelli di sabbia per vederli distrutti e ricostruirli.
Le potenzialità cognitive del bambino, la sua zona di sviluppo prossimale
per dirla con Vygotskij, è limitata solo dalle risorse culturali offerte
dall’ambiente. In particolare queste potenzialità, nell’esercizio
dell’educazione, sono frenate dagli adulti: sia in modo volontario perché
vedono i possibili pericoli derivanti da un attività esplorativa autonoma
sia, più spesso, in modo involontario, come conseguenza dell’imposizione di
modelli educativi che, non tenendo nel debito conto le capacità di
apprendimento esperienzale già in lui autonomamente sviluppate, tentano di
imporgli ex novo un apprendimento di tipo scolastico cioè basato
essenzialmente sul trasferimento di informazioni attraverso il linguaggio e
quindi su capacità e funzioni di tipo ricostruttivo-simbolico. Si crea,
così, una frattura profonda tra diversi modi di apprendere che spinge, molto
spesso, verso un apprendimento meccanico fine a se stesso, svuotato di
significato e di motivazione cognitiva: il tutto attraverso un procedimento
che trasforma l’apprendimento da divertente ed efficiente in noioso e
inefficiente .
Internet, la rete delle reti, può avere un ruolo importante in questo
quadro.
Ambiente con nuove potenzialità
Abbiamo considerato come i limiti dell’apprendimento siano in gran parte
determinati dalle risorse offerte dall’ambiente. Internet dilata questi
limiti allargando a dismisura il campo d’azione: tutto il mondo è collegato,
ci si può confrontare con tutto il mondo, si può interagire, esplorare,
comunicare. E’ chiaro quindi che le risorse risultano estese e condivise:
anzi sono potenzialmente illimitate o meglio sono limitate soltanto dalla
nostra fantasia e soprattutto dalla nostra volontà di creare nel ciberspazio
risorse educative adatte a sviluppare ed incoraggiare la creatività e la
potenzialità cognitiva dei bambini e delle bambine. Naturalmente il fatto
che esistano tali risorse educative non vuol dire che esse siano facilmente
accessibili per un navigatore senza bussola. Non si deve dimenticare che
sono disseminate in un vasto mare in cui sicuramente anche le risorse
diseducative sono in numero ragguardevole: neppure la rete, infatti, sfugge
alla constatazione che l’educazione e la promozione delle giovani
generazioni non emergono come obiettivi prioritari mentre sembra fare molto
più presa la realizzazione del profitto individuale ed immediato.
Sui pericoli
Questo ultimo discorso ci porta a considerare i pericoli per i giovani
naviganti. Anche se il ciberspazio della rete è un mondo fatto di bit e non
di atomi, e quindi più di immaginazione che di tangibili realtà, l’influenza
non solo psicologica del mondo virtuale sul mondo reale è tale da aprire la
strada a nuove situazioni problematiche Che una nuova tecnologia implichi
nuovi pericoli non è certo una novità. La storia, però, sembra indicare che
ignorare una nuova tecnologia capace, come Internet, di grandi
trasformazioni è una scelta perdente. Ne seppero qualcosa, ad esempio, i
cacciatori-raccoglitori del post-Pleistocene che si scontrarono con
l’avvento dell’agricoltura. Oggi nessuno può permettersi di evitare
tecnologie ormai consolidate solo perché esse implicano pericoli: il
quotidiano impressionante numero di morti per incidenti stradali non ci
distoglie certo dall’uso quotidiano della nostra autovettura. Con le nuove
tecnologie, al contrario, riemerge ogni volta la tendenza ad un rifiuto
irrazionale in nome di pericoli veri o presunti. Altrettanto pericoloso è la
tendenza opposta, quella che porta ad una accettazione acritica, quella per
intenderci che può trasformare un televisore in una micidiale baby-sitter.
Comunque, malgrado i pericoli che si possono annidare in un mondo virtuale
come quello aperto da Internet e gli agganci, a volte pericolosi, al mondo
reale di cui è il riflesso, le esperienze cui da sostanza sembrano, oltre
che incomparabilmente più ricche e più economiche, anche, nel complesso,
molto più sicure delle corrispondenti esperienze realizzabili direttamente
nel mondo reale. Questo, naturalmente, non significa che ci siano pericoli o
che questi vadano sottovalutati. Viviamo un mondo complesso ricco di risorse
e di insidie dove probabilmente le scelte semplicistiche sono il pericolo
maggiore. E’ necessario esercitare tutta la nostra capacità di discernimento
per conoscere ed educare e quindi per affrontare i problemi in un contesto
educativo più generale.
Sistemi educativi e tradizione ottocentesca
Per quanto riguarda i problemi derivanti da sistemi educativi che
istruiscono inibendo spesso le potenzialità del bambino, la portata delle
nuove tecnologie in generale, ed Internet in particolare, deve indurre gli
educatori a ripensare l’apprendimento alla luce delle nuove possibilità. La
mancanza di informazione e di capacità progettuali può portare ad utilizzare
le innovazioni tecnologiche per meglio realizzare le vecchie procedure
invece di riconsiderarle alla luce delle nuove possibilità: un errore che si
è ripetuto nel corso della storia. Si tende a considerare necessarie ed
immutabili pratiche consolidate dall’esperienza senza accorgersi che spesso
i motivi che avevano guidato certe scelte hanno le loro radici in una realtà
ambientale che ormai non esiste più. Primo Levi nel suo racconto Cromo, dal
volume Il sistema periodico, illustra magistralmente questo fenomeno.
L’autore racconta la propria esperienza di chimico in una fabbrica di
vernici. In quella veste si era trovato a dover correggere un difetto di
produzione. Levi descrive la grande difficoltà incontrata nel rintracciare i
motivi di certe procedure del processo produttivo ormai eseguite solo per
inerzia perché da tempo obsoleti e quindi dimenticati i motivi che le
avevano determinate. Solo quando infine riuscirà a rintracciare i motivi
scomparsi constaterà che, nelle nuove condizioni, questi non hanno più alcun
motivo di essere e risolverà il caso.
Si tratta, in sostanza, del cosiddetto effetto QWERTY dal nome di una
disposizione di tasti ancora presente nelle tastiere dei nostri pc,
disposizione che fu disegnata nel lontano 1873. Il progetto prevedeva di
rallentare volutamente il lavoro di chi usava la tastiera in modo da evitare
inconvenienti meccanici che si verificavano quando tasti adiacenti erano
battuti in rapida successione. Presto i motivi che avevano suggerito quella
disposizione furono rimossi ma quella soluzione è adottata ancor oggi.
Invano, ad esempio nel 1932 ne fu presentata un’altra che raddoppiava la
velocità diminuendo la fatica. Ormai troppi interessi impedivano
l’affermarsi di soluzioni più efficienti. Nella scuola l’abitudine a non
riconsiderare scelte consolidate è ben radicata. Già nel 1914 lo scrittore
Giovanni Papini scriveva che
“La scuola , essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha
contribuito spessissimo a pietrificare il sapere ed a ritardare con testardi
ostruzionismi le più grandi rivoluzioni e riforme intellettuali”
Le nuove tecnologie sono sempre state accolte con diffidenza, con occhi
attenti a ciò che facevano perdere ma miopi verso ciò che permettevano di
fare in modo più efficiente, ciechi alle nuove prospettive che aprivano. Si
pensi ai patetici tentativi di opporsi alle penne senza calamai o alle
invadenti calcolatrici tascabili portate dagli alunni. La scuola di oggi è
ancora, sostanzialmente, nonostante alcune modifiche formali, quella
ottocentesca realizzata sull’onda degli ideali dell’illuminismo e delle
grandi rivoluzioni che finalmente imponevano un’istruzione per tutti. Per
motivi economici e di impossibilità attuativa su larga scala, il modello
adottato non è stato né quello del precettore, come si usava nelle classi
più agiate, né quello della bottega artigiana in cui tradizionalmente,
attraverso un periodo di apprendistato, si imparavano i mestieri. La
soluzione che fu adottata sembra invece prendere per modello la catena di
montaggio che tanto appariva promettere nella rivoluzione industriale allora
in atto. Ogni insegnante doveva trasferire nella testa dell’allievo una
parte dei saperi fino alla formazione finale di un individuo istruito. La
tecnologia della conoscenza che allora dominava incontrastata era quella del
libro che fungeva da modello e da metafora con la sua sequenzialità, con i
sui volumi ben separati ma integrati in un sapere complessivo, con la
esaltazione di un apprendimento reso possibile anche in assenza dell’oggetto
e, quindi, secondo modalità quasi esclusivamente di tipo
simbolico-ricostruttivo. Significativa a questo riguardo è una illustrazione
del 1899 di Jean Marc Côtè, in cui l’artista francese rappresenta in maniera
molto efficace e suggestiva questa filosofia dell’apprendimento, l’unica
immaginabile e plausibile ai suoi tempi, e ne ipotizza una possibile
continuità nell’anno 2000, diversa da quella del suo secolo solo per una
maggiore evidenza di tecnologie.
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La scuola del 2000 vista da
fine’800
L’immagine di Jean Marc Côtè mostra una visione stravagante di un
mondo elettrificato in un futuro che ora, passati più di cento anni,
corrisponde al nostro presente. L’insegnante, che, evidentemente, ha
il compito di selezionare il sapere da trasferire nelle menti degli
alunni, infila i libri di testo in una sorta di macina azionata a mano
da un volenteroso alunno. A quel che sembra, le informazioni contenute
nei libri vengono convertite in corrente elettrica modulata che,
attraverso opportuni cavi, arriva sotto forma di suono agli studenti
muniti di cuffie. Le informazioni contenute nei libri, a quanto pare,
si imprimerebbero nelle giovani menti più efficacemente che attraverso
la lettura delle stesse da parte dell’insegnante o dello stesso
studente. Da notare, infine, la tranquillità, o forse la rassegnazione
con cui gli allievi si sottopongono passivamente a questa pratica.
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Sistemi educativi e nuovo millennio
Certo Côtè non aveva strumenti per immaginare nulla di diverso: apprendere
in questo modo non è privo di inconvenienti ma in quel contesto era forse
l’unica possibilità. Richiede applicazione ed una notevole fatica per
sviluppare le necessarie capacità di astrazione ma allora, a differenza di
oggi, la motivazione era fornita dal prestigio sociale, la carriera e la
posizione che si poteva raggiungere superando la dura selezione. Il prodotto
finale di questo processo di istruzione si è dimostrato, comunque,
all’altezza delle esigenze della società di allora in quanto lo scopo veniva
raggiunto sia pure da una minoranza abbastanza ristretta della popolazione.
Il novecento ha poi evidenziato i limiti teorici di un apprendimento di
questo tipo ma il pensiero di scienziati, filosofi ed educatori del calibro
di Piaget, Dewey e Vygotskij che hanno caratterizzato il secolo
rivoluzionando le nostre conoscenze sulla psicologia dell’apprendimento,
poco o nulla ha influito nella prassi pietrificata della nostra scuola.
Questo non certo perché tutto nella scuola sia stato pienamente
soddisfacente. I mali della scuola, infatti, non sono poi così recenti se
l’aggettivo “scolastico” legato ad “apprendimento” da per risultato
un’accezione negativa. Si può controllare, infatti, in un buon dizionario
come un apprendimento scolastico sia considerato un apprendimento di scarso
valore. Non era certo ieri, ad esempio, che il già citato Papini denunciava
nelle scuole
l’immobilità dello spirito obbligato a ripetere invece che a creare
lo sforzo disastroso di imparare con metodi imbecilli moltissime cose
inutili
l’annegamento sistematico di ogni personalità, originalità e iniziativa nel
mar nero degli uniformi programmi
Da allora ad oggi i problemi si sono moltiplicati. In una scuola così
concepita la selezione era necessaria sia per stimolare la competizione
indispensabile per raggiungere le ambite posizioni sociali che ne
costituivano la motivazione indiretta sia per stabilire nella preparazione
degli allievi quei livelli omogenei che possono garantire efficacia alla
lezione frontale. Oggi i mutamenti sociali hanno determinato il crollo della
motivazione indiretta mentre è emersa la necessità di assicurare a tutti
l’effettivo diritto allo studio che la scuola dell’obbligo dovrebbe
garantire indipendentemente dalle effettive capacità degli alunni legate ai
contesti sociali e culturali di provenienza. La difficoltà di realizzare
nella pratica piani individualizzati per le diverse necessità degli alunni
di una classe ha portato a compromessi di vario genere che non hanno, però,
incrinato o anche solo scalfito il persistere delle consuete prassi né hanno
portato ad una seria riflessione sui modelli educativi. Le novità che sono
riuscite a filtrare sono state presto neutralizzate da una sorta di
anticorpi che le hanno isomorfizzate ai vecchi modi ottenendo, alla fine del
processo, solo qualche variazione formale.
Come se non bastasse, ad aggravare ulteriormente la crisi della nostre
istituzioni educative è stata la trasformazione sempre più rapida della
società che ha fatto entrare in conflitto le due funzioni tradizionali della
scuola: la trasmissione della cultura del passato e la preparazione al
futuro.
In che modo Internet e le nuove tecnologie possano cambiare questo stato di
cose?
Per quanto detto sugli strumenti e sulle idee, proviamo a riformulare la
domanda iniziale in modo non tecnocentrico. I nuovi modelli educativi
indicati da quei filosofi, quei pedagoghi, quegli scienziati che, pur
caratterizzando il ‘900, quasi nessuna traccia di sé hanno lasciato nella
prassi delle nostre scuole anche a causa della effettiva difficoltà di una
loro pratica attuazione, potranno ora finalmente decollare nella pratica
educativa delle nostre scuole grazie alle potenzialità offerte da Internet e
dalle nuove tecnologie? E’ una domanda importante che, purtroppo, non tutti
gli educatori si pongono. A porsela già da tempo è Seymour Papert
(www.papert.com) che ha lavorato quattro anni con Jean Piaget ed è ora uno
dei fondatori del Laboratory e dell'Epistemology and Learning Group del MIT
(Massachusetts Institute of Technology) e titolare della Lego Chair for
Learning Research del MIT, la cattedra dedicata alla ricerca pedagogica con
i mezzi messi a disposizione dalle nuove tecnologie.
Papert fa notare come nonostante le tante chiacchiere fatte sull’ ”imparare
ad imparare”, nella pratica scolastica, nella stragrande maggioranza dei
casi, si continui ad insistere su nomi, date, frammenti e fatti scientifici
mentre molto poco su ciò che riguarda l’apprendimento in sé che andrebbe,
invece, considerato come una perizia da acquisire. Internet si inserisce
nella forma di apprendimento () che consideriamo la più importante, ossia
quella tesa ad ottenere la conoscenza necessaria a soddisfare le proprie
curiosità e ad attuare i propri progetti: garantisce la possibilità reale di
comunicare ed interagire con tutto il mondo ed offre quindi opportunità
inimmaginabili appena qualche anno fa. Il contatto con persone che
condividono gli stessi interessi può trasformare radicalmente le possibilità
di apprendere. Papert fa anche notare come le classi siano comunità di
apprendimento molto artificiali e come all’interno di una classe la
probabilità di condividere realmente interessi sia scarsa. Dilatando però la
classe attraverso lo spazio comunicativo aperto dalla rete, questa
probabilità diventa assai alta e fa sì che le potenzialità di apprendimento
si moltiplichino nell’approfondimento di interessi comuni e nello stimolo ad
imparare ed a fare cose sempre nuove che continuamente si modificano e
lievitano per quantità e qualità.
Gli studi e le esperienze fatte sono più che incoraggianti ma la necessaria
rivoluzione metodologica ad esse sottesa cozza contro abitudini ben radicate
non solo nella scuola ma anche nell’immaginario collettivo. Ancora oggi,
poi, nelle istituzioni deputate all’educazione si tende ad identificare le
teorie pedagogiche con l’astruso didatticismo dei burocrati che cercano,
invano, di guidare gli insegnanti attraverso l’ombra di teorie di cui sembra
dimenticata l’idea originale ed il contesto storico e sociale che le ha
prodotte. In questo modo la crisi della scuola non potrà che sfociare in
cambiamenti che lasciano sostanzialmente invariate le modalità di
apprendimento, come sembra stia avvenendo. Il mondo della scuola appare
chiuso in se stesso. Solo forze esterne potranno provocare cambiamenti
significativi nell’evoluzione del sistema educativo. Papert prevede che tale
forza sarà data, in un prossimo futuro, da un esercito di bambini, una forza
intellettuale abituata ad apprendere in modi estremamente efficienti che ha
saputo sfruttare le potenzialità educative dei computer presenti in casa sin
dall’inizio della propria vita. I computer ed Internet, infatti, permettono
di imparare dall’esperienza, di tenere alta la motivazione e di avvicinarsi
autonomamente, significativamente e sinergicamente anche alle potenzialità
cognitive di tipo simbolico-ricostruttivo attraverso una continua
contaminazione tra modalità cognitive differenti.
Situazioni di apprendimento
Pensiamo ad un bambino che concretizza il suo interesse per il mondo che lo
circonda appassionandosi, ad esempio, alle conchiglie. Sappiamo che pochi
arriveranno, come fece Jean Piaget, a sviluppare questa passione al punto da
pubblicare un trattato di malacologia in età adolescenziale ed iniziare
precocemente una lunghissima ed eccezionale carriera scientifica. Certo
Piaget aveva, probabilmente, doti, volontà e stimoli non comuni. In
generale, le normali, straordinarie potenzialità di un bambino hanno bisogno
di essere alimentate adeguatamente per crescere e svilupparsi. Se il gioco
della conoscenza non trova riscontri nei rapporti con il mondo circostante,
se l’esplorazione viene sistematicamente disapprovata o non incoraggiata, se
interessi e curiosità si scontrano con ignoranza ed indifferenza, se diventa
impossibile esprimersi stabilendo una rete di relazioni collaborative ed
informative con altre persone che condividono i propri interessi se, in
altre parole, l’ambiente non è fertile, il gioco perderà d’interesse e le
capacità cognitive saranno private dell’humus necessario. Viceversa, in un
ambiente fertile, il gioco della conoscenza porterà ad un coinvolgimento
crescente, ad un moltiplicarsi di interessi e di capacità cognitive.
Proviamo ad immaginare una scena in cui il nostro bambino appassionato di
conchiglie mostra, soddisfatto, le sue scoperte e le nuove conoscenze ai
genitori sul video di un computer. Lo fa attraverso le pagine del sito che
ha costruito insieme ad un suo compagno di classe ad ai nuovi amici di rete
sparsi per il mondo, tutti conosciuti frequentando in newsgroup sulle
conchiglie e nonostante qualche iniziale problema di lingua. In particolare
il bambino mostra con orgoglio la pagina con quella conchiglia rara che
neanche i suoi libri riportano e di cui invece ora sa tutto grazie alle
conoscenze distribuite alle quali ha imparato ad attingere. Spiega inoltre
come lui e i suoi compagni abbiano, tramite le loro pagine pubblicate nel
web, attivato una rete internazionale di scambi per arricchire le proprie
collezioni.
Qualcuno potrebbe storcere il naso davanti ad un simile scenario pensando ad
una perdita di tempo. A che serve specializzarsi su un argomento
particolare? Non sarebbe meglio impiegare il tempo studiando altre cose?
Nell’apprendimento non conta tanto cosa si apprende ma soprattutto come si
apprende, l’effettiva significatività di un apprendimento. Per dirla con
John Dewey
quello che conta è la qualità dell’esperienza in quanto esperienza, ossia in
quanto processo di pensiero operativo...
Un’esperienza di apprendimento valida, in cui il bambino è attivo artefice
del proprio esistere, è un ponte verso altre coinvolgenti esperienze
conoscitive. Le conchiglie non sono un volume, un’isola. In esse si riflette
il mondo. La trama degli infiniti fili che legano gli oggetti della
conoscenza potrà portare allo scambio, al museo, alla matematica, alla
letteratura, alla biologia evoluzionistica o, per tornare al nostro Piaget,
all’epistemologia genetica. Intanto il bambino cresce ed impara divertendosi
senza sforzo apparente, giocando, sviluppando competenze reali,
esprimendosi, interagendo, comunicando, capendo di far parte di una realtà
globale. E’ qualcosa di molto più efficiente del noioso apprendimento
meccanico somministrato a scuola.
Nella prima metà del 1700, Luc de Clapiers marchese di Vauvenargues
osservava che
“le cose che conosciamo meglio sono quelle che non ci hanno insegnato”
I tempi sono molto cambiati e le possibilità di apprendimenti autonomi si
sono moltiplicate. Con Internet l’accesso all’informazione, la possibilità
di collegarsi alla conoscenza sono alla portata di un bambino in un modo che
in passato non è mai stato possibile I bambini si accostano al computer che
trovano sempre più spesso nelle loro case con un grande desiderio di
esprimersi e di esplorare.
C’è la possibilità, molto promettente, che i bambini collaborino gli uni con
gli altri condividendo attività, interagendo e comunicando su larga scala.
Deve essere chiaro, però, che un mezzo versatile e multiforme come Internet,
da solo, non garantisce nulla. Sono, cioè, necessari ambienti che sappiano
utilizzare questa risorsa per dare concretezza e corpo a idee educative.
L’ambiente che ha un ruolo primario nella realizzazione di un tale processo
educativo è la famiglia.
Il ruolo della famiglia in un’educazione supportata da Internet
Quale educazione è necessaria in una famiglia che può giovarsi delle risorse
offerte da Internet e dalle nuove tecnologie?. Qui accade un fatto
paradossale: le caratteristiche dei mezzi tecnologici e quelle degli
apprendimento ad essi associati sembrano andare in direzioni opposte. Mentre
i primi sono sempre più tecnici i secondi tendono a forme sempre più
naturali. Anche se nell’immaginario collettivo l’apprendimento è legato
soprattutto ai tecnicismi stereotipati della scuola il bambino, di fatto,
apprende molto di più interagendo con il mondo che lo circonda in modo
naturale, divertente ed autonomo. Il ruolo della famiglia non deve essere
certo quello pedante di insegnare in modo scolastico ma quello, invece, di
favorire ed incoraggiare forme naturali di apprendimento che sfruttino
appieno le potenzialità delle nuove risorse. I genitori del ragazzo delle
conchiglie nel nostro quadro precedente, ad esempio, si interessano alle
attività del figlio, ne discutono e ne condividono i progetti, gli
trasmettono, indirettamente la propria cultura, aiutandolo, ma da lui e con
lui apprendono molto più di quanto non insegnino. Perché l’educazione sia
efficace è necessario, insomma, che la famiglia sia una vera e propria
comunità di apprendimento, che regni fiducia tra i suoi membri e che si
condividano interesse e partecipazione alle attività intraprese. Internet e
le nuove tecnologie, quindi, non fanno che rendere molto più ricco di
esperienze cognitive e, quindi, più efficace il processo educativo.
Nella realtà però vi è un grosso ostacolo alla condivisione di interessi
all’interno del nucleo familiare: il gap generazionale. Infatti, il rapido
sviluppo delle nuove tecnologie ha aumentato la distanza tra le generazioni,
un salto culturale tra il mondo degli adulti e quello dei giovani abituati,
sin dalla nascita, ad interagire con le nuove tecnologie. Il genitore è
abituato ad un ruolo che tende a frenare più che ad incoraggiare la smania
esplorativa dei bambini, è abituato ad insegnare e molto meno ad esplorare
ed apprendere insieme a loro. Eppure in uno spazio allargato a dismisura da
Internet, in una realtà (e virtualità) in continua evoluzione, si deve
essere sempre pronti ad imparare dall’esperienza. Nella specie umana il
periodo necessario per diventare adulti, quello dedicato all’apprendimento,
è più lungo che nelle altre specie. In una realtà statica o quasi statica,
l’adulto poteva, divenuto tale, smettere di imparare. Oggi questo non è più
possibile. I genitori dei nostri bambini tecnologici dovrebbero, per dirla
con Maragliano, rimbambinirsi per affrontare in modo adeguato un mondo
sempre più ricco di opportunità. Si dovrebbe esser capaci di apprendere non
solo leggendo un manuale ma anche imparando continuamente dall’esperienza.
La tendenza più comune è, invece, quella di accettare in casa i nuovi mezzi
tecnologici perché forzati da pressioni di tipo consumistico e poi, per
necessità o per scelta, delegare a questi mezzi potenti l’educazione dei
giovani. Opzione pericolosa: lo spazio lasciato libero verrà inevitabilmente
riempito da una sottocultura pilotata da media privi di qualsiasi intenzione
educativa. Si potrebbe così creare una appetibile zona franca per una
televisione ricca solo di programmi commerciali, per videogiochi con i
peggiori spara-spara, per un Internet che soddisfi solo interessi di bassa
lega magari indotti dagli altri media.
Costruzione, in Internet, di luoghi sicuri dove i bambini possano, giocando,
comunicare, esprimersi e soddisfare le proprie curiosità
Le risorse educative della rete, poi, potrebbero aumentare in modo assai
significativo se le istituzioni educative dedicassero le proprie energie e
le proprie conoscenze pedagogiche a migliorarne qualità e sicurezza. In
pionieristica direzione, da qualche anno, si sta muovendo Idit Harel,
educatrice, scienziata nonché madre di tre figli, fondatrice del MaMaMedia,
un’impresa di New York, presente su Internet (www.mamamedia.com), che si
dedica ad incrementare la familiarità tecnologica dei bambini attraverso il
potenziamento di risorse volte ad incoraggiare e valorizzare forme di
apprendimento ludico.
Su Mamamedia vengono selezionati e garantiti siti sicuri e di alta qualità
in cui reperire informazioni sulle balene, sui dinosauri sugli sport e su
tutto quello che i giovani frequentatori del sito possono trovare
interessante. Questo materiale viene poi inserito in un contenitore ed
organizzato secondo vari criteri. Nel sito trovano posto racconti di ragazzi
e ragazze ed anche storie, poesie ed altro materiale scritto dai giovani
naviganti. Ci sono poi collegamenti a siti creati dai ragazzi stessi come
quello sulle conchiglie del nostro quadro. Un’altra interessante iniziativa
è quella di fornire materiale e informazioni per costruire e per
personalizzare questi siti. In un’altra area del contenitore i ragazzi
condividono i progetti e visitano i reciproci siti preferiti. In sostanza si
tratta di costruire l’esperienza del bambino intorno ad un insieme valido di
siti web, organizzando e chiedendo loro di organizzare: il tutto in modo
giocoso e creativo.
Con questo progetto, con questa filosofia educativa, si cerca di costruire
le abilità di apprendimento necessarie per affrontare il nuovo millennio.
Viviamo in un epoca di cambiamenti sempre più rapidi dove ciò che impariamo
oggi sarà, molto probabilmente, obsoleto domani. Per aiutare i nostri
giovani a crescere in un mondo tecnologico in continua evoluzione il
tradizionale leggere, scrivere e far di conto ( in inglese le tre R: Reading,
wRiting and ‘Ritmetic), sebbene ancora valido, non è più sufficiente per
confrontarsi con il futuro. Le abilità più importanti, da far crescere
amorevolmente nei nostri figli, afferma la Harel, sono l’Esplorare,
l’Esprimersi e lo Scambiarsi idee utilizzando i nuovi media digitali (in
inglese le tre X: eXploring, eXpressing and eXchanging).
Internet è, senza dubbio, uno dei migliori strumenti per rendere possibile
l’acquisizione di queste indispensabili qualità.
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