Ultimo aggiornamento: 14/05/2005

 
   

André Weil, “RICORDI DI APPRENDISTATO – Vita di un matematico“, a cura di Claudio Bartocci, Giulio Einaudi editore, 1994

André Weil (1906 – 1998) rievoca la sua vita partendo dall’ infanzia e arrivando fino al 1976, anno in cui si ritira dall’insegnamento.

Nella copertina si legge il seguente sunto: “…Dopo aver studiato a Parigi sotto la guida di Jacques Hadamard, l’autore visita successivamente Roma, dove trascorre sei mesi, e le grandi capitali del pensiero scientifico europeo, entrando in contatto, ancora assai giovane, con i maggiori matematici dell’epoca. Nel frattempo si appassiona allo studio del sanscrito, seguendo i corsi di Sylvain Lévi al Collège de France: soggiornerà in India agli inizi degli anni Trenta, incontrando personalità come Nehru e Gandhi e diventando amico personale di Zakir Husein, futuro presidente della confederazione indiana.

Rientrato in Francia nel 1932, l’anno seguente è tra i fondatori del gruppo Bourbaki, nom de plume sotto il quale si celano alcuni dei più brillanti ingegni matematici francesi, tutti formatisi all’École Normale Supérieure negli anni immediatamente successivi alla grande guerra: il loro monumentale trattato Éléments de mathématiques, opera di sintesi e di formalizzazione, ha esercitato una cruciale influenza sulla ricerca e sul pensiero matematico degli ultimi cinquant’anni.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale sorprende Weil in Finlandia: scambiato per una spia sovietica, scampa miracolosamente alla fucilazione e viene tradotto in Francia, dove sconta un periodo di detenzione per renitenza alla leva: nel forzato raccoglimento del carcere trova ispirazione per alcune delle sue più geniali scoperte e avvia un ripensamento dei fondamenti della geometria algebrica.

Le vicende belliche lo condurranno in Gran Bretagna […] quindi di nuovo in Francia e infine negli Stati Uniti, esule al pari di un gran numero di altri intellettuali europei. Ma le porte delle prestigiose università americane non si aprono subito a chi ha la triplice colpa di «essere ebreo, straniero e troppo brillante», e soltanto l’approdo in Brasile, all’università di San Paolo, porrà fine, nel 1944, a un lungo periodo di isolamento scientifico e di incertezze materiali, tristemente segnato anche dalla tragica morte della sorella Simone. […]”

Riporto alcuni stralci, tratti dalle lettere scritte alla moglie Éveline, durante il periodo di detenzione in Francia: ”(30 marzo) […] Dall’ultima volta che ti ho vista, le mie ricerche aritmetico-algebriche hanno preso un buon avvio: ho scoperto delle cose molto interessanti. Arrivo quasi al punto di augurarmi di avere ancora un po’ di tranquillità per poter ultimare quello che ho iniziato, e comincio a credere che nulla favorisca le scienze astratte più del carcere. Il mio amico indù Vij diceva spesso che se avesse passato sei mesi o un anno in prigione sarebbe senz’altro riuscito a dimostrare l’ipotesi di Riemann: forse era anche vero, ma purtroppo gli mancò questa opportunità […]”

Hanno attirato la mia attenzione soprattutto le seguenti parole, scritte sempre alla moglie, per consigliarla riguardo all’istruzione da impartire al di lei figlio Alain: “(16 aprile) […] Non ti affannare troppo a spiegare le frazioni ad Alain; si è consolidata la consuetudine di attribuir loro, nella scuola elementare, una rilevanza del tutto esagerata; in realtà, non sono così importanti. Credo che la cosa migliore sia fare le operazioni in maniera meccanica, senza sforzarsi di capire, soprattutto per quanto riguarda la moltiplicazione e la divisione. Al contrario, visto che mi parli di analisi grammaticale, insisto affinché Alain impari a farla in modo assolutamente corretto, perché ciò è essenziale per l’apprendimento del latino (che farà bene a iniziare senza indugiare troppo)…”

Ritengo che tali affermazioni siano molto discutibili…