RIFLESSIONE  (di Ivana Niccolai)

Nel libro di Luciano Cian La relazione di aiuto– Elementi teorico-pratici per la formazione a una corretta comunicazione interpersonale , (testo rivolto prioritariamente a chi si dedica al sostegno di altri: medici, psicologi, educatori…) ho trovato alcuni spunti di riflessione, che ho ritenuto utili  per il nostro approfondimento.
Credo che ognuno di noi abbia avuto modo di constatare che con qualcuno dialoghiamo volentieri, con altri meno…volentieri e con altri ancora cerchiamo di evitare il dialogo. Ritengo che il motivo di ciò sia dato dal clima relazionale differente che i comunicanti, nell’interazione, costruiscono con lo stile con cui parlano, ascoltano, reagiscono, rispondono, osservano.
Ciascuno di noi porta in sé un carico di problemi, di valori, di emozioni, di esperienze, che vengono condivisi nel dialogo, solo quando riusciamo a soffocare i nostri pregiudizi, le nostre idiosincrasie, il timore di essere aggrediti, il nostro desiderio di prevaricazione, o di non accettazione, o di considerazione negativa, cioè tutti quei sentimenti che possono interferire pesantemente sulla COmunicazione, fino a determinare la distorta interpretazione del messaggio, con conseguente nascita di fraintendimenti e desiderio di chiudere il dialogo e il confronto.
Come suggerisce Luciano Cian, bisognerebbe che ogni individuo riuscisse a fare un po’ di “psicoecologia”, cioè un lavoro di pulizia e di salvaguardia del proprio ambiente interiore, per neutralizzare quelle “negatività” che, nei rapporti interpersonali, possono intossicare le reazioni e le relazioni, concentrando l’interesse sui sentimenti positivi, quali: il rispetto, il senso della misura, il primato della ragionevolezza.
Luciano Cian arriva anche a invitare il lettore all’apertura verso Dio, ma quest’ultimo aspetto non ci interessa ai fini della nostra “indagine”, esclusivamente “umana” e credo sia opportuno, invece, analizzare questo nostro pianeta-villaggio che, attraverso internet, ha abolito le distanze fisiche e generazionali, consentendo quello stare a guardarci e sorvegliarci reciproco, agevolando una discutibile spettacolarizzazione dei sentimenti e circondandoci di un vasto “rumore” che ci distoglie dalla riflessione e ci disorienta, facendoci dimenticare il significato umano della parola come “ponte” verso l’altro; il desiderio di COmunicare implica il “farsi comuni”, l’uscire dal chiuso di sé, per incontrare gli altri.
Affinché si possa giungere a forme di COmunicazione vera, vengono sottolineate le seguenti modalità:
1) Parlare in modo autentico (e questo rafforza la sicurezza e l’autostima);
2) Considerare la parola come mezzo per costruire buone relazioni sociali;
3) Saper ascoltare la parola degli altri.
Andare verso gli altri, implica comprenderli, accettarli e rispettarli.
Come precisa D. Goleman nel libro “Intelligenza sociale”, la “comunione” è uno stato di “profonda empatia reciproca in cui i sentimenti dell’altro sono ben più che importanti: essi ci cambiano”, nel senso che riusciamo a porci nei panni dell’altro, deconcentrando la nostra attenzione dalle opinioni nostre alle opinioni altrui, in modo da poter rivedere criticamente sia le convinzioni nostre sia quelle altrui.
Quando, invece, l’approccio agli altri è freddo e distaccato, gli psicologi usano il termine “eteronomico”. Siamo eteronomici quando non ci curiamo dei sentimenti altrui, ma esclusivamente di ciò che vogliamo dagli altri, cercando di usare gli altri per raggiungere scopi nostri egoistici.
Non dobbiamo dimenticare l’esistenza della cosiddetta triade oscura, comprendente narcisisti, machiavellici e psicopatici e va ricordato che, come sottolinea Goleman, “la varietà “subclinica “, di gran lunga più comune, vive fra noi, popolando uffici,
scuole…”
Ritengo che una conoscenza approfondita degli "ostacoli alla COmunicazione" possa aiutarci a...superarli!

 
   

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